
Metaverso, tante domande
30/10/2022
Spazio critico di psicologia
14/11/2022Ritorno alla normalità
Sanitari reintegrati: ritorno alla normalità?
I provvedimenti di reintegro nel posto di lavoro dei sanitari sospesi per inadempienza vaccinale da parte del nuovo governo e le reazioni di professionisti e cittadinanza impongono riflessione su molte tematiche.
In primo luogo il sollievo di chi forse potrà finalmente riprendere il proprio lavoro alla luce del sole, senza essere più costretto a cercare, spesso in modo angosciato, vie traverse e sotterfugi per esercitare o anche, più banalmente, per provvedere al proprio sostentamento.

Tale sollievo, comprensibile e ovviamente giustificato, rischia di perdersi nel mare magnum delle sensazioni che per lo più contribuiscono ad alimentare la narrazione della pandemia cui abbiamo assistito negli ultimi anni e gli effetti della sua rovinosa gestione. Sembra infatti che con questo provvedimento la vita possa tornare alla normalità.
Ma le misure distopiche assunte dai precedenti governi, rese esecutive con il contributo fondamentale dagli organi sussidiari dello Stato e sostenute da una propaganda mediatica martellante e priva di pudore, hanno introdotto nella quotidianità aspetti subculturali sconosciuti alle generazioni occidentali degli ultimi 70 anni e dobbiamo considerare la concreta possibilità che la percezione stessa della cosiddetta normalità si sia modificata in modo irreversibile. E dunque, può bastare un decreto governativo a ripristinarla? E, ammesso che possa, quale normalità verrebbe ripristinata?
Negli ultimi anni abbiamo sperimentato il tradimento da parte delle istituzioni, la discriminazione in quanto dissenzienti, lo svilimento di valori fondamentali, siamo stati presi nel vortice della malignità dei nostri simili (e in certi momenti lo abbiamo alimentato anche noi), ci siamo misurati con il dolore, con la paura, con l’ingiustizia, con la solitudine, con la rabbia e con l’impotenza.
Questa esperienza ha fatto cadere molti veli e ha rivelato con una certa chiarezza la via sulla quale l’umanità si è incamminata e la meta che ci attende continuando a percorrerla. Questo ci offre un’opportunità che era presente anche in precedenza, ma molto meno visibile ai più: quella di scegliere se perseverare o trovare nuove direzioni.
I cambiamenti non avvengono in un istante, se non nella fase conclusiva del processo, così l’accaduto era “in corso” già da molto tempo e non ce ne siamo accorti perché siamo stati catturati in ritmi sempre più frenetici e tenuti occupati nella sopravvivenza quotidiana o nell’affermarci; privi di tempi di riflessione, di osservazione e di ascolto, distratti dalle contingenze e dal “diritto” allo svago e al relax. Ci siamo impegnati a tal punto nel realizzare la nostra individuazione, da perdere il senso della prospettiva, il suo scopo.
Se è così non sarà un decreto, nemmeno se illuminato, a porre fine al processo. L’emergenza Covid va scemando, o almeno così sembra, ma già sono ben delineate all’orizzonte altre emergenze, quali la guerra e il clima. E non manca chi parla di nuove epidemie e fa ricerca in tal senso.
Ora, pensiamo davvero che per ripristinare la normalità sia sufficiente poter riprendere a curare i nostri interessi fatti di lavoro, vita sociale e affettiva? E’ sufficiente, ora che abbiamo sperimentato come la serenità che ne deriva possa essere spazzata via dalla sera alla mattina, per volere del potente di turno? E, se non è sufficiente, che altro vogliamo?
Non un decreto, ma una nostra sostanziale trasformazione può portare a compimento il processo in atto nella direzione di una valorizzazione dell’umanità e della sua ascesa.
Difficile precisare in cosa debba consistere tale trasformazione, ma quelli di noi che non si sono fatti avvolgere completamente nelle spire della follia dilagante, in questi anni hanno sperimentato anche gli aspetti migliori dell’umanità: la vicinanza, il sostegno, la cooperazione, la solidarietà, il riconoscersi in base alle affinità, la possibilità di decidere insieme cosa creare e il successo nel dare concretezza ai progetti. Ci siamo misurati con la fiducia, con il coraggio di esercitare la disobbedienza civile, con il valore della comunità, con la bellezza di poter immaginare nuove vie e con la fatica soddisfacente di assumere la responsabilità della propria vita, affrontando anche rischi e conseguenze delle proprie scelte. Insieme a “cosa mi serve?” abbiamo cominciato a chiederci “Come posso essere utile?” Abbiamo iniziato a dare meno per scontati gli esiti di qualunque iniziativa e a cercare di considerare proposte e persone con maggiore attenzione e soprattutto abbiamo cominciato ad inserire gli eventi nel contesto e quindi ad allargare lo sguardo, spostandolo dall’immediata contingenza per includere settori via via più estesi di significati.
Può essere questo un inizio? Di certo ci si augura possa contribuire ad alimentare un processo culturale che aiuti le coscienze a crescere.
Luisa Benedetti,
Comitato nazionale psicologi EDSU